Riuscire a smascherare i nostri schemi inconsci di auto-sabotaggio è un salvavita. 

Infatti, tutti noi siamo vittime, in qualche modo, di varie subdole e insidiose forme di auto-sabotaggio che mettiamo in atto secondo schemi ricorrenti e strategie peculiari. Il punto critico, in questo contesto, è esserne consapevoli o meno. Consapevolezza, d’altra parte, non implica il giudicarsi nè tantomeno l’essere duri con se stessi, ma si riferisce piuttosto alla capacità di osservare i nostri pensieri e comportamenti per riconoscere quando qualche forma di auto-sabotaggio sta prendendo il sopravvento e guidando le nostre decisioni.

Perchè ci auto-sabotiamo?

L’auto-sabotaggio è un meccanismo di coping, una reazione che la mente usa per gestire, allontanare e anestetizzare il dolore associato ad alcuni eventi, sentimenti ed emozioni stressanti che abbiamo sperimentato in precedenza nella vita, ripetendo lo stesso schema di comportamento (di solito agito la prima volta) più e più volte. Rappresenta una forma di pensiero ricorrente, abituale e così incardinato nelle connessioni neurali del cervello che è il percorso dove gli impulsi elettrici scorrono più velocemente e spontaneamente, creando quindi una reazione automatica, non vagliata in modo razionale. Si potrebbe paragonare ad un glitch o ad un virus mentale che, una volta installato, funziona da solo, senza che noi ne siamo pienamente consapevoli.

Come creiamo le nostre strategie di auto-sabotaggio?

Questo è un punto importante… e il nostro amico Jung probabilmente sarebbe d’accordo con noi.
Accade che, ad un certo punto della vita, tipicamente nella nostra prima infanzia, sperimentiamo alcune situazioni stressanti (c.d. trigger) in cui proviamo un dolore intenso che non riusciamo a fronteggiare da soli o anche solo una sensazione spiacevole e, in una certa misura, nuova. Il primo trigger di solito accade in un’età in cui siamo molto giovani (0 -4 anni) e il nostro cevello ha esperienze e background estremamente limitati per relazionarsi alla vita.
Come risultato di questo evento, proviamo sensazioni nuove e spiacevoli; può essere rabbia, paura, tristezza, senso di vulnerabilità o di abbandono.
Forse ora ti stai chiedendo quali potrebbero essere i tuoi trigger. Beh, di solito quando ci pensi c’è una spiacevole sensazione di incompiuto, come qualcosa che non è stato ancora detto o fatto.

Il cervello in azione …

A questo punto il nostro cervello da infanti ci viene in aiuto, con gli strumenti di elaborazione che ha all’epoca e con l’obiettivo primario di proteggerci, mantenerci al sicuro e farci sopravvivere a qualsiasi minaccia esterna. Il cervello ripara quindi la nostra ferita nell’unico modo in cui può: crea un significato, una giustificazione, uno schema che può aiutarlo, in qualsiasi momento in futuro, a riconoscere nuovamente la minaccia, per evitarla. Questa è l’origine delle nostre convinzioni limitanti: la storia che ci raccontiamo per sfuggire e risolvere i nostri sentimenti di disagio.

Credenze auto-limitanti e ombre

Di solito le convinzioni limitanti che abbiamo sono associate, in una certa misura, a uno schema logico che può essere:

  • di causa-effetto: “se faccio a, succede b”
  • di identità: “sono questo tipo di persona”, “posso fare questo”, “non posso farlo”.

Queste nostre convinzioni rimangono apparentemente latenti e silenziose (ovvero non ne siamo consapevoli), mentre in realtà gestiscono le nostre vite, essendo profondamente radicate nel nostro subconscio. Ci sono però alcuni momenti preziosi in cui vengono a galla e sono visibili. Ciò accade quando sperimentiamo lo stesso fattore scatenante (trigger) che ha causato il formarsi e consolidarsi della convinzione e comportamento.

Quale comportamento ti è più familiare?

Le techiche di auto-sabotaggio sono numerose e molto fantasiose e agiscono schemi diversi. Tuttavia ciò che le accomuna è che dipendono tutte dal contesto (ad esempio possono essere differenti sul lavoro o a casa) e da un trigger specifico.

1) DISTRARSI

Chi agisce questo schema è sempre estremamente occupato nello svolgimento di attività che sembrano avere tutte la stessa importanza. Il fatto di non attribuire una priorità in termini di importanza e quindi una gerarchia di azione implica che si passi da un task all’altro senza terminare il precedente. Evitando di finire le cose, si allontana la possibilità di qualsiasi valutazione e si tiene sotto controllo la paura del giudizio

2) CONTROLLARE

Chi agisce questo schema di solito attribuisce a fattori esterni o al comportamento di qualcun altro la responsabilità di ciò che gli accade nella vita e ha la tendenza a voler controllare, influenzare e manipolare per superare la paura di sentirsi impotente

3) ACCONTENTARE

Chi agisce questo schema acconsente e, di norma, dice sempre di sì. Compiacendo gli altri, cerca di irrobustire la sua autostima, acquisire un maggior senso di valore ed importanza e, non da ultimo, evitare di sentire un certo disagio, incompletezza e colpa per non aver acconsentito a soddisfare le richieste altrui

4) ANALIZZARE

Chi agisce questo schema si perde nella micro-analisi dei dettagli. Analizzare le cose in modo compulsivo lo aiuta a mantenersi distaccato e a percepire il controllo delle proprie emozioni. Di norma queste persone si percepiscono come dissociate dal proprio corpo e tendono a vivere nella loro mente. Tramite un’analisi spasmodica delle stuazioni e possibilità – e la conseguente paralisi all’azione che ne deriva, quello che in fondo cercano di evitare è la paura di sbagliare

E tu come agisci di solito? Ti sei riconosciuto in qualcuno di questi schemi di comportamento?

Smascherare l’auto-sabotaggio con la consapevolezza

Ora, noi tutti siamo abituati a pensare di essere pienamente consapevoli e in controllo di ciò che ci passa per la testa. “E che diamine! Sono i miei pensieri, saprò bene quello a cui sto pensando!” Ma sfortunatamente non funziona esattamente così, dal momento che, come suggerisce anche la scienza, sembra che in media, siamo consapevoli solo del 5% dei nostri pensieri. La rimanente parte, o se preferisci il 95% dei nostri pensieri, agisce ad un livello subconscio del quale non siamo pienamente consapevoli.

Detto in altri termini, ciò che pensiamo di essere e crediamo di poter fare (o meno) scaturisce principalmente da un subconscio che ci è per la maggior parte sconosciuto! Questo spiega non solo perché, spesso, il nostro agito quotidiano non rifletta con grande coerenza i pensieri di cui riteniamo di essere ‘consapevoli’, ma anche perchè l’autosabotaggio sia così diffuso, subdolo e sottile da identificare e smascherare.

Prima di chiudere questo post, vorrei condividere con te qualche fatto curioso e, perché no, interessante, a proposito del nostro subconscio:

  • E’ sempre vigile e all’erta, a prescindere dallo stato della nostra coscienza (ad esempio ascolta sempre anche quando stiamo dormicchiando davanti al televisore acceso)
  • Comunica attraverso simboli ed immagini, soprattutto nei sogni, dato che non dispone di un linguaggio verbale
  • Poiché si esprime attraverso immagini mentali, per negare qualsiasi concetto ha bisogno di creare un’immagine proprio di ciò che stiamo cercando di rimuovere [1]
  • Non riconosce il trascorrere del tempo: riconosce solo il “qui e ora”, mentre concetti quali “ieri”, “domani”, “in un futuro” non vengono riconosciuti
  • Non distingue tra concetti positivi e negativi ed interpreta qualsiasi cosa alla lettera, dato che non possiede senso dell’umorismo (peccato!)
  • Ha le capacità cognitive di un bambino (dai 2 agli 8 anni circa, in base alle situazioni)
  • Il suo scopo principale è solo quello di proteggerci e tenerci al sicuro (c.d. “modalità sopravvivenza”), perfino se questo non migliora il nostro stato e non ci arreca né felicità né tanto meno appagamento.

[1] Se ad esempio ti dicessi di non pensare ad un elefante…sinceramente, dimmi a cosa stai pensando in questo momento! Alla luce di ciò, non sarebbe quindi meglio focalizzarsi su ciò che vogliamo, piuttosto che sul contrario? Fonte: George Lakoff, Berkeley University.

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Con affetto, Roberta

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