Abituiamoci a questo nuovo mondo e riconosciamo che la cura di sé è ormai un imperativo non ulteriormente prorogabile. Stiamo assistendo a un cambiamento epocale di cui, molto probabilmente, ancora non siamo pienamente consapevoli. Ovviamente, sto parlando del covid-19 e di come questa pandemia stia avendo impatti fino ad ora inimmaginabili sul mondo del lavoro e delle relazioni, sui modelli urbani, sui modelli di sviluppo.
Parliamo del lavoro e delle metropoli: come molti di voi sto lavorando in remote working da casa da fine febbraio. In Italia questa modalità di lavoro è stata applicata con un certo ritardo rispetto al resto del Mondo, sintomo di una mentalità italiana ancora troppo conservatrice e resistente al cambiamento. E infatti, le aziende consideravano questa modalità soprattutto come ottimizzazione degli spazi e riduzione dei costi, con ancora troppi manager che vedevano con ostilità questo nuovo modello di lavoro. La fine del “controllo visivo” verso i dipendenti, da molti manager è stata vissuta come un fattore di incertezza e instabilità, come perdita di potere, riduzione, declassamento, quando è invece evidente che in primo luogo si tratta di una fortissima responsabilizzazione dei dipendenti.
Comunque sia, molti concetti del “lavoro che fu” sono da ripensare: il concetto stesso dell’open space va rivisto; tenuto conto che gli assembramenti di persone saranno le grosse incognite dei prossimi mesi, (forse dei prossimi anni) il concetto di riunire in luoghi di lavoro 50-60 persone in 150 mq risulta pericoloso e totalmente inattuale, viste le regole di “social distancing” a cui si attengono, doverosamente, le aziende.
Addirittura, il remote working sta dimostrando come il lavorare in una postazione casalinga protetta da “disturbi sonori” esterni (il collega che alza la voce durante una conference call, la suoneria dello smartphone particolarmente fastidiosa di qualcun altro, l’invito al caffè alla macchinetta che, magari anche solo per educazione, si tende a non rifiutare). Si dirà: “tutto questo è socialità!”. In un certo senso si, ma ricordiamoci comunque che associare la socialità ai luoghi di lavoro è un concetto un po’ fuorviante. Piuttosto, lo strumento del “remote working” andrà utilizzato con il giusto bilanciamento per quelle persone che non dispongono di “spazi protetti casalinghi”. Come in tutte le cose, in primo luogo è questione di equilibrio.
Tornando agli spazi di lavoro che conosciamo, anche nel lavoro intellettuale resiste ancora una forte mentalità “fordista” secondo la quale il dipendente “deve” necessariamente essere impegnato a fondo nelle sue ore lavorative come se egli fosse in catena di montaggio. D’altronde, se ci pensiamo bene, alla base del lavoro dipendente c’è un contratto a fronte del quale il lavoratore dipendente (e ragioniamo anche sul significato della parola “dipendente” verso “autonomo”) scambia, vende, si spossessa, cede il suo tempo ed il controllo che ha della sua vita in questo tempo a qualcun altro.
Accade ancora, ed è paradossale dirlo e pensarlo, che alcuni manager vedano con perplessità e fastidio dipendenti che non siano a capo chino sulla scrivania, come in certi film che rievocano il clima in cui vivevano gli impiegati statali nella Italia Umbertina. Però, non prendiamoci in giro; tutti sappiamo perfettamente che, al netto dei periodi di attività lavorativa intensa (peraltro in molti casi normalizzabili grazie ad un’accurata pianificazione ed organizzazione delle attività), esistono periodi consistenti in cui l’attività lavorativa può essere svolta con la dovuta “libertà”.
Il remote working sta infatti dimostrando come questa pratica permetta non solo di risparmiare un enorme quantità di tempo – “morto” e improduttivo – per i trasferimenti, di ridurre l’emissione di gas inquinanti e anche di ottimizzare l’impiego del proprio tempo personale, avendo la possibilità di alternare il lavoro in sé con le attività più disparate (dal lavare i piatti allo stendere i panni usciti dalla lavatrice) in un mix di dinamismo che “trasmette” energia al lavoro stesso, anche se a prima vista ciò può sembrare paradossale. Inoltre, lavorare da casa consente di cucinarsi il proprio cibo evitando di essere costretti a mangiare fuori tutti i giorni cibo già pronto o confezionato.
Il mondo sta cambiando a una velocità inaspettata: nei panorami urbani vediamo grattacieli in costruzione che, presumibilmente e nel migliore dei casi, per lunghi periodi verranno occupati al 50%.
Vediamo arrivare treni carichi di pendolari che si alzano alle cinque del mattino e devono fare due ore di viaggio per recarsi al lavoro, quando potrebbero tranquillamente collegarsi da casa all’ufficio.
In altri casi vediamo lavoratori più fortunati, che utilizzano il remote working non necessariamente dal domicilio abituale, il tutto, con la massima produttività.
E’ un gigantesco sforzo collettivo di adattamento a nuove abitudini che ci vede tutti protagonisti.
Tuttavia, non dimentichiamo che, come accade per ogni cosa, ogni medaglia ha sempre due facce.
Se quanto abbiamo visto fino ad ora rappresenta senz’altro il lato positivo di questi nuovi paradigmi, dall’altro lato ci sono anche aspetti che, se non adeguatamente instradati con consapevolezza e buon senso, possono ritorcersi contro di noi.
Noi esseri umani siamo abitudinari, amiamo ciò che ci è familiare e di conseguenza resistiamo al cambiamento. Se lavorare da casa venisse vissuto come un incentivo all’isolamento, alla pigrizia (non vestirsi, pettinarsi o truccarsi solo perché “tanto si sta a casa”) e alla sedentarietà allora forse avremmo comunque perso una gran parte dei vantaggi che potremmo trarne. Non serve fare chissà che cosa. Basta introdurre piccole, minime abitudini nella quotidianità di tutti i giorni per farle diventare una routine. E poi apprezzarne l’effetto cumulativo, dopo qualche tempo. Anche solo abituarsi a prendersi brevi pause di 5 minuti per rimettere in circolo l’energia, sciogliere le articolazioni e riscaldare la muscolatura è una mossa vincente. Come pure, a fine giornata, prendersi pochi minuti per rilasciare le tensioni accumulate durante le ore di sedentarietà. Il beneficio di azioni così semplici può non sembrare rilevante, ma invece lo è. Per esserti vicina in questo momento di cambiamento, ti ho preparato un Kit OMAGGIO che ti invito a scaricare a questo indirizzo Smart Working Self Help Kit . Ti aiuterà a ritagliarti qualche breve pausa durante il giorno per rilassare la muscolatura e rimettere in movimento l’energia. Mi auguro davvero che ti possa essere di aiuto.
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Roberta
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